Archivio categoria: Generici

Prodotti tipici

pane I prodotti gastronomici tipici si fondano su un’importante e rinomata tradizione di qualità.
L’olivicoltura, in fase di espansione e l’olio extravergine estratto in abbondanza da cultivar quali biancolilla, aneba, nocellara del Belice, giarraffa, costituiscono una risorsa di notevole valore per l’econonia cittadina.
La Zootecnia prativata con sistemi tradizionali si basa sull’allevamento ovino- caprino (prevalentemente razza Comisana) e bovino da latte e da carne (prevalgono le razze modicana, cinisara) nei pascoli collinari e montani. Tali animali forniscono oltre a ottima carne che si può acquistare nelle locali macellerie anche degli ottimi formaggi: pecorino, caciocavallo e ricotta. La ricotta viene prevalentemente usata dai dolcieri di Marineo per la realizzazione di dolci tradizionali: cannoli , bocconcini e cassate.
Importante è anche l’allevamento di maiali, con i quali viene prodotta la salsiccia locale di puro suino e insaccati di vario genere.
Il pane di Marineo viene ancora preparato con i tradizionali sistemi di impasto di farine di grano duro e lieviti naturali e cottura nei forni a legna.

Dati del territorio

Marineo e’ un comune italiano della Provincia di Palermo. I suoi abitanti sono chiamati “marinesi”.
Il comune si estende su 33,3 km² e conta 6 779 abitanti dall’ultimo censimento della popolazione.
Statistiche demografiche Marineo
Amministratori
Statuto comunale
Telefono
E-mail
Indirizzo   Municipio di Marineo
Corso dei Mille, 127
90035 Marineo (Pa)

Codice ISTAT di Marineo 082046
Codice catastale E957
Prefisso Telefonico del comune 091
CAP di Marineo 90035
Codice Fiscale di Marineo 86000870823
Partita IVA 02957130822

Santo Patrono di Marineo San Ciro
Festa Patronale di Marineo  31 gennaio e la penultima domenica di agosto

TERRITORIO DI MARINEO
Superficie di Marineo 3 332 ettari
33,32 km² (12,86 sq mi)
Altitudine minimale 239 metri s.l.m.
Altitudine massimale 977 metri s.l.m.
Altitudine media sul comune 608 metri s.l.m.
Altitudine della casa comunale di Marineo 531 Metri sul livello del mare
Coordinate Decimali
Latitudine: 37.9515
Longitudine: 13.4153
Coordinate Sessagesimali
Latitudine: 37° 57′ 5” Nord
Longitudine: 13° 24′ 55” Est

Comuni limitrofi di Marineo

Bolognetta 4 km
Godrano 5.4 km
Cefalà Diana 5.8 km
Villafrati 7.8 km
Santa Cristina Gela 8.5 km
Misilmeri 9.8 km
Mezzojuso 10.5 km
Belmonte Mezzagno 11 km Baucina 11.2 km
Piana degli Albanesi 12.6 km
Ventimiglia di Sicilia 13.9 km
Ciminna 14.1 km
Altofonte 14.5 km
Villabate 14.6 km
Casteldaccia 15.2 km
Campofelice di Fitalia 15.2 km
Altavilla Milicia 15.5 km
Ficarazzi 16 km
Bagheria 16.2 km
Santa Flavia 17.6 km
Monreale 18.2 km

 

Manifestazioni

 

31 gennaio
festa d’inverno in onore di San Ciro con processione serale.
19 marzo:
nel giorno della festa si prepara in piazza la “Tavulata”. Vi partecipano in costume tradizionale la Sacra Famiglia. Dopo la benedizione segue la distribuzione dei pani di San Giuseppe a tutti gli intervenuti.
Marzo-Aprile:
La Domenica delle Palme si tiene la processione (di mattina)al seguito di Gesu’ Nazareno seguito da un corteo festante di bambini con palme o ramoscello di ulivo.
Il Giovedi Santo, accompagnati dal suono della “troccula” si eseguono i canti notturni della passione, nenie tradizionali che vengono cantate fino all’alba dai giovani del paese.
il Venerdi Santo si svolge in serata la processione dell’Addolorata e del Cristo Morto
per Pasqua processione con “incontro” fra le statue della madonna e del Cristo Risorto.
Durante il periodo pasquale viene nella chiesa madre il sepolcro con i caratteristici “lavureddi”, grano germogliato al buio dal tenue colore verde-giallo riccamente addobbato.
Giugno:
Festa del Corpus Domini. Il giorno della festa viene realizzata “l’Infiorata” lungo il Corso dei Mille.
Agosto:
la penultima domenica del mese si svolge per quattro giorni, a partire dal venerdi, la festa del santo Patrono San Ciro. Il sabato (ma non tutti gli anni) si svolge la “Dimostranza”, rappresentazione sacro-allegorica itinerante in 21 quadri sulla vita di San Ciro, recitata da circa 200 personaggi interpretati da attori locali. La domenica mattina si svolge la “cunnutta”, sfilata di cavalli e muli che recano offerte al Santo.
Settembre:
l’8 settembre si svolge la festa della madunnuzza presso la chiesetta omonima
il Premio Internazionale di Poesia che da oltre un trentennio rappresenta ormai un importante appuntamento che si distingue peraltro per la calorosa e numerosa partecipazione dei cittadini. Si svolge a Piazza Castello generalmente la seconda domenica del mese.
Ottobre:
la prima domenica di ottobre si svolge la Granfondo di MTB denominata “dall’Eleutero a Rocca Busambra”, gara di mountain bike che si svolge all’interno della Riserva Orientata di Ficuzza. Notevole il numero dei partecipanti che provengono da tutta la Sicilia..
Dicembre:
durante tutto il periodo natalizio vengono allestiti diversi presepi nelle chiese locali a cura di gruppi e Congregazioni. Il più importante fra questi e’ quello del “Presepe Vivente”, dove per l’occasione viene ricostruita la tradizionale ambientazione della civiltà contadina e proposta una degustazione di prodotti tipici del nostro territorio. Gli ambienti e le strade del presepe vengono animate da personaggi in costume, suoni di cornamuse, rumori e odori della tradizione locale.

 

 

 

Percorsi naturalistici

ESCURSIONI

La Chiesetta della Madunnuzza. Sorge a circa un chilometro dal centro abitato in localita’ omonima e a poca distanza dal fiume Eleutero. E’una piccola chiesetta ad unica navata dedicata a Santa Maria della pieta’ o del Daino ed e’ immersa nel verde di una macchia mediterranea con diverse querce secolari. L’8 settembre si festeggia il culto della Madunnuzza con pellegrinaggi dei fedeli e giornata di festa in loco.

I mulini  dell’ Eleutero. Diversi mulini, oggi ridotti a ruderi, si trovano lungo il corso del fiume Eleutero immersi in una natura lussureggiante. La loro presenza e’ segnalata a partire dal 937 all’epoca della conquista araba della Sicilia. Operanti fino a qualche decennio fa, conservano ancora il fascino della civilta’ contadina a cui erano intimamente legati. Percorrendo la strada che da Marineo porta a Risalaimi si incontrano le Case di Risalaimi (interessante complesso del XIII sec.) Nel XV sec. le pareti della cappella annessa alla masseria vennero affrescate da Tommaso de Vigilia (gli affreschi, successivamente staccati, si trovano esposti nel Museo Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo). Proseguendo verso Misilmeri si incontra il Ponte della Fabbrica (costruito nel 1581 a servizio dell’ex regia trazzera che collegava Palermo con l’entroterra). Piu’ avanti si incontrano due mulini: il Mulinello e l’Ex Mulino Nuovo. Sul versante meridionale di monte Tesoro si trova l’Ex Mulino di Mezzo (un mulino capace di macinare fino a sette tonnellate giornaliere di grano). Altri mulini si incontrano risalendo il fiume verso l’entroterra.

Le gole dello Stretto. Escursione molto affascinante ma difficile e faticosa. Si risale il fiume Eleutero partendo dal “ponte sullo stretto” nell’omonima localita’. Guadagnato il letto del fiume attraverso irto sentiero si sale controcorrente attraverso una gola scavata fra due massicci collinari coperta da una ricca vegetazione spontanea che costituisce peraltro un importante rifugio di una fauna acquatica e terricola. Superate le strette gole si raggiunge l’Ex Mulino Calderone. A questo punto si riprende una strada carrabile. Si puo’ raggiungere la vicina Chiesetta della Madunnuzza (poche centinaia di metri) o raggiungere Marineo (circa un chilometro).

Masseria Acqua del Pioppo, bella ed elegante costruzione di fine 800 a qualche centinaio di metri dalla statale 118 in omonima localita’ fra Marineo e Bolognetta.
Masserria di Parco Vecchio ,interessante costruzione ai margini del bosco della Manca, edificata nel XII sec. e modificata alla fine del quattrocento forse ad opera dei Cavalieri Teutonici, che possedevano anche il casale di Risalaimi, con la costruzione di una chiesetta annessa alla fabbrica. Oggi la masseria si compone di diverse fabbriche disposte ai lati di un cortile rettangolare, una delle quali ospita un interessante ed originale agriturismo che ripropone oltre alle originarie strutture anche gli antichi sapori e le atmosfere della civilta’ contadina. La Masseria costituisce un ottimo punto di partenza per escursioni al Bosco della Manca e nella vicina Santa Cristina Gela.
La Riserva Orientata di Ficuzza. Gli accessi consigliati sono diversi e si trovano tutti a pochi chilometri di distanza da Marineo: sulla provinciale Marineo Godrano in direzione della contrada Massariotta per salire fino a Torre del Bosco o in direzione Serre Suvarita. In localita’ Arcera presso l’omonimo ponte risalendo il vallone Arcera. Particolarmente appassionante risulta la visita della Riserva in Mountain Bike nei diversi periodi dell’anno in percorsi che si inoltrano anche nelle parti piu’ misteriose del bosco. ( contattare la Pro Loco o l’extreme racing team)

Storia e cultura

La storia
L’attuale centro abitato di Marineo a 30 chilometri da Palermo è situato su un poggio sovrastato da un’imponente rupe, la Rocca (chiamata dai poeti “Dente canino della Sicilia” o “Tomba di Polifemo”).
Il feudo di Marineo fin dal sec. XV apparteneva all’Ospedale Grande di Palermo.
Nel 1549, Nicola di Amari che deteneva il feudo di Marineo in enfiteusi, cedette a Francesco Beccadelli Bologna, al quale nel 1550 venne concessa, dietro pagamento di una forte somma, la “licentia populandi “dall’Imperatore Carlo V. Con essa otteneva il diritto di ricostruire un insediamento. A Francesco Bologna si deve la costruzione del Castello, della chiesa del Crocifisso e della Matrice.
Sulla collina denominata la “Montagnola” si è svolta una lunghissima fase di civiltà, prima che sorgesse il paese attuale: la collina alta 623 metri sul livello del mare, domina il fiume Eleutero. Offriva all’insediamento umano un agevole declivio a Nord-est, pareti a taglio inespugnabili ed un unico facile accesso.
Alcuni rari frammenti di utensili di ceramica riconducono l’origine del sito sulla Montagnola al VIII secolo a.C. La città acquistò col tempo prestigio e importanza per la sua posizione di cerniera tra costa e l’entroterra, in quanto collocata sulla strada che collegava Palermo e l’interno.
Centro indigeno, risentì l’influsso degli Elimi, e successivamente dei Punici e dei Greci. Dopo la conquista romana iniziò il progressivo declino della città sulla Montagnola culminato con quasi scomparsa nel periodo precedente la conquista araba.
Gli Arabi ripopolarono la collina che riprese vigore nei secoli sotto i Normanni. Nella metà del XIV secolo a margine delle lotte fra fazione latina e catalana in Sicilia, il sito venne abbandonato e la città scomparve.

PROFILO TOPOGRAFICO
di Antonino Scarpulla

Il Bacino del fiume Eleutero ha le sue sorgenti nel versante Nord di Rocca Busambra , poderoso massiccio calcareo che corre ininterrottamente in senso Est-Ovest per circa dieci Km. Questo massiccio presenta sul versante Nord vertiginosi strapiombi per tutta la sua lunghezza tale da costituire una barriera insormontabile
Il rilievo raggiunge una quota massima di 1613 m e si mantiene quasi costantemente sopra i mille metri, tale che di inverno risulta essere di frequente coperto di neve alimentava così nelle stagioni più piovose con abbondanti acque il fiume Eleutero prima che il corso venisse sbarrato dalla diga di Scanzano per formare l’omonimo invaso.
Nella sua prima parte di percorso il fiume solca una vallata caratterizzata da dolci declivi e da colline di modesta altezza. Uscendo dal Bosco di Ficuzza infatti, dove trova numerose sorgenti ad alimentarlo, solca le contrade di Bifarera, Castellaccio, Lupotto, Cannavata, sovrastate dal modesto rilievo costituito dal monte Guisina (796 slm). A Nord segue l’ampio pendio sbarrato dal massiccio costituito da monte Ilardo, Cozzo Sant’ Agata, e Monte Rossella, e Pizzo Parrino, rilievi che si mantengono quasi costantemente vicino quota mille. Il versante meridionale di queste montagne è solcato da dai “valloni” di Rossella, Cannavata, che oggi sono immissari del lago di Scanzano; poco più a valle, il “vallone di Buceci si immette nell’Elutero in contrada Scanzano Proseguendo ancora la descrizione del territorio verso Nord, separato dal “Vallone del Parco”, c’è il massiccio calcareo dominato dal monte Marcione, Cozzo Sovarelli e Serena.
Il fiume Parco è il principale affluente dell’Eleutero al quale riunisce le sue acque sotto la Montagnola di Marineo, dopo essere sceso dalle gole dello Stretto formate dalla Montagnola e dal Pizzo Parrino.
Proseguendo ancora verso Nord, il territorio è costituito dal sistema montuoso del Pizzo Cervo, Cozzo Ciaramita , Cozzo Migliore, Montagna Gulino che fa da spartiacque tra due vallate solcate a Sud dal vallone del Corvo, a Nord dal torrente Landro, che snoda il suo percorso tortuoso tra brulle colline tra Belmonte Mezzagno e Misilmeri.
Sul lato Est il fiume Eleutero è alimentato da numerosi torrenti che solcano le piccole vallate del bosco di Ficuzza. Il bosco ricopre una serie ininterrotta di colline e modesti rilievo tra i quali spiccano la Torre del bosco e Cozzo Bileo di 1007m.
Senza soluzione di continuità seguono le colline ricoperte dal bosco del Cappelliere con Cozzo Cucciddu, Portella Sovarita, Quattro finaite e Vurpara tutti intorno a 700m che fanno da spartiacque tra il bacino dell’Eleutero e il vallone Cefalà. Infine si incontra il Monte Balatelle e Monte Chipari sopra Bolognetta. Da quel punto in poi sul versante orientale del fiume non si incontrano rilievi degni di menzione a parte Monte Porcara e Pizzo Cannita, da ricordare per i notevoli materiali e strutture archeologiche ivi rinvenuti.
I maggiori affluenti del fiume provengono dunque dalla parte occidentale del bacino idrografico dell’Eleutero.
Il fiume Eleutero ha oggi una modesta portata essendo alimentato da torrenti e valloni aventi regime stagionale: in estate infatti sono del tutto asciutti.
Alcune sorgenti che scaturiscono dalle montagne vicine contribuiscono ormai in modesta misura ad alimentarne la portata; oggi infatti sono captate per usi civili e vengono immesse negli acquedotti dei paesi della vallata. Inoltre la realizzazione dell’invaso dello Scanzano, modesta riserva idrica estiva di Palermo, ha ridotto ulteriormente il volume dell’acqua che scorre nel letto del fiume. La realizzazione dell’invaso avvenuta alla fine degli anni cinquanta, pur avendo portato notevoli benefici eliminando quasi del tutto i pericoli di piene improvvise nei mesi invernali, che un tempo trascinavano nell’impeto i traballanti e malsicuri ponti di legno che lo attraversavano per altri versi ha arrecato indubbi danni a tutta la flora e la fauna che rigogliosa e abbondante popolava il corso del fiume. Inoltre l’immissione di acque reflue dei Comuni viciniori ha ulteriormente aggravato lo stato di salute ormai comatoso dell’Eleutero.
In passato la portata del fiume in certi anni è stata davvero considerevole. Nel 1951 , ad esempio, è stata di 24,3mc/sec, cioè 486 volte più della media stagionale . Certuni hanno supposto che in antico il fiume fosse, almeno per il tratto iniziale, navigabile con barche, chiatte o zattere. Ipotesi da non scartare se si considera che prima del disboscamento iniziato in maniera consistente sin dall’epoca romana delle montagne ai lati del fiume doveva esserci maggiore equilibrio idrogeologico e l’acqua che affluiva al fiume con una portata superiore a quella attuale.

IL PAESAGGIO NATURALE E IL PROCESSO DI ANTROPIZZAZIONE
di Antonino Scarpulla

Oggi possiamo solo immaginare quale poteva essere in antico il paesaggio naturale della nostra zona. L’estensione del bosco di Ficuzza, in atto è limitata a poche migliaia di ettari , ma nonostante ciò, è rimasta l’unica grande macchia di verde della Sicilia occidentale. Al tempo della colonizzazione dei Greci stando a certe stime il bosco occupava circa 80% della superficie della Sicilia . Alla fine del secolo scorso tale superficie era ridotta a circa il 3% del territorio.
Per altro verso, oggi, “quanto resta dei boschi naturali… assume talvolta un considerevole sviluppo improntando vaste superfici e alimentando una immagine inconsueta della Sicilia, comunemente ricordata come regione arida, avamposto del deserto africano” , contribuendo così alla immagine della Sicilia dai contrasti duri del paesaggio e della vita, una Isola dove, come diceva Tomasi di Lampedusa, “bestie e uomini annegano là dove due settimane prima le une e gli altri crepavano di sete”.
Ricostruire il paesaggio naturale in antico della nostra zona è quanto mai problematico in assenza quasi del tutto di fonti documentarie relative al territorio, almeno sino al medioevo.
L’Eleutero , che ha le sue sorgenti a Rocca Busambra sopra Ficuzza, si vuole in antico parzialmente navigabile , probabilmente sino a Risalaimi Ciò sarà stato indice di un apporto idrico che solo un manto boschivo più fitto ed esteso poteva dare, così come poteva alimentare una fiorente attività molitoria come quella di Marineo I mulini di Marineo peraltro sono documentati già nel 937 dalla Cronaca di Cambridge , nell’ambito di uno scontro tra palermitani ed agrigentini per il predominio nella sicilia centro-occidentale, finito con la sconfitta di questi ultimi.
Montagne oggi prive di vegetazione ( cito nella nostra zona buona parte di Busambra, Monte Rossella, Monte Ilardo, Pizzo Parrino, Cozzo Sovarelli…) erano coperte dal bosco nella sua forma più nobile, il querceto, di cui sopravvive a oggi solo qualche toponimo della situazione ambientale di un tempo: Suvarita, Contrada Sovarelli,, Cozzo Cerro, … Il fatto è che in Sicilia e nel nostro territorio, la foresta è stata una realtà testimoniata dai numerosi resti archeologici delle località più note Montagnola, Pizzo di Casa, Solunto, relativi a cinghiali, boes, cervi, di mammiferi oggi del tutto scomparsi. Infatti tali ritrovamenti sono indicativi della esistenza di una realtà ambientale oggi profondamente mutata.
La presenza di lupi nella zona largamente attestata dalla sopravvivenza di toponimi come Lupo e Lupotto, presuppone un bosco fitto e ricco di selvaggina necessaria alla sopravvivenza di tali predatori.
E’ stato osservato come ” Lo studio della fauna e della microfauna collegato alle variazioni climatiche di maggiore rilievo è indicativo del tipo di vegetazione presente nei diversi spazi temprali
La responsabilità dei cambiamenti radicali intervenuti negli assetti idrogeologici, sulla estensione del manto boscoso , sono solo in parte riconducibili all’uomo. Certamente la necessità dei Cartaginesi, Romani, Arabi di costruire flotte navali , ha contribuito a intaccare il manto vegetale siciliano e quello della nostra zona facilmente accessibile.
Inoltre la necessità delle genti che vivevano nella città e nei villaggi vicini o dentro le zone boschive di dissodare terreni da destinare alla semina , ha influito sulla contrazione del manto boscoso.
La costruzione di una grande flotta, necessaria per la politica di conquista e di potenza romana, assorbiva notevoli quantità di legname d’alto fusto; l’alimentazione di una modesta metallurgia per costruire utensili o armi, assorbiva notevoli quantità di legname proveniente dalla fitta boscaglia della macchia mediterranea. Anche gli Arabi, affamati di legname per la costruzione delle flotte necessarie a supportare la loro politica espansionistica nel Mediterraneo sono attratti dalle foreste della Sicilia, dove già doveva essersi ricostituito un discreto manto vegetale, specie nella parte Nord occidentale.
In questo variare della superficie boschiva ha influito anche il mutamento del clima: caldo intorno all’anno Mille con uno o due gradi in più ella media attuale, freddo al tempo di Federico II, caldo umido tra il XIII e XIV secolo; siccitoso nel 500 e ancora freddo e umido nel seicento e settecento con una media di circa due gradi e mezzo in meno della media attuale.
Ma la storia del ruolo del clima sul mutamento delle condizioni ambientali è ancora da fare .
E’ comunque possibile che il bosco medievale siciliano sia stata una riproduzione spontanea consentita dal clima di un manto vegetale che era già stato pesantemente intaccato una prima volta in epoca romana. In tale epoca infatti viene imposta una politica di disboscamento sistematica del suolo siciliano per far posto alla coltura del grano destinato all’approvvigionamento delle metropoli. Il disboscamento rendeva inizialmente i terreni fertilissimi con rese mai più raggiunte, neanche con i moderni sistemi colturali. Ben presto una volta isterilitosi il suolo il grano lasciava il posto al pascolo transumante. In questo contesto , per capire la portata delle trasformazioni avvenute durante i secoli va accennato brevemente al processo di antropizzazione della media e alta valle dell’Eleutero territorio. , ai fini della ricostruzione della ricostruzione seppur sommaria delle condizioni e dello sfruttamento delle risorse del territorio.
Le scelte degli abitanti della zona “ab antiquo” hanno sempre tenuto conto sia dei fattori contingenti ( luoghi sicuri e facilmente difendibili in periodi turbolenti o facilmente raggiungibili in periodi di pace ma pur sempre dotati di una certa sicurezza), comunque ricchi di risorse idriche , vegetali ed animali e con buoni terreni da mettere a coltura . E’ stato notato come nel ” Mediterraneo la storia degli uomini abbia spesso avuto inizio sulle colline e sulle montagne dove la vita agricola è sempre stata dura e precaria, ma che in compenso erano al riparo dalla micidiale malaria e dai troppo frequenti pericoli della guerra. Per questo ci sono tanti villaggi inerpicati sui pendii, tante piccole città aggrappate alla montagna, le cui fortificazioni si fondono con la massa rocciosa dei declivi”
A 500 metri dall’attuale centro abitato di Marineo, sulla Montagnola, un notevole centro indigeno sorge sino dal VIII-VII secolo a.C. e come documentano gli scavi sin qui condotti, protrae la sua vita con alterne vicende sin al secolo XIV .
La Montagnola controlla il percorso occidentale della strada che da Palermo portava ad Agrigento e costeggiava il versante Nord di Rocca Busambra dove toccava, verso l’estrema propaggine Ovest di Busambra, un altro centro indigeno sorto su Pizzo Nicolosi.
Questo centro, profondamente ellenizzato , ma ricadente nell’area di influenza cartaginese , non sopravvive agli avvenimenti della seconda guerra punica e scompare del tutto già intorno alla fine del III sec. a.C.
Sull’estremo versante orientale del bosco, si trova Pizzo di Casi , monte che sovrasta Mezzojuso, che a quota 1211 mt presenta una morfologia adatta a un insediamento stabile e ben difendibile. Sui due rilievi sommitali, Pizzo Re e Pizzo Castello si sviluppa il centro abitato indigeno sorto almeno sin dal VII sec a.C. Fu abbandonato in epoca Romana e successivamente rioccupato in periodo arabo-normanno.. Infatti su tutta l’area sommitale si osservano strutture murarie in superficie o messe in luce da scavi clandestini, ceramica incisa e dipinta indigena, ellenistica e medievale.
Altri centri coevi minori sorgono nel territorio preso in esame e nelle immediate vicinanze. Vale la pena di ricordare il centro sorto su Cozzo SANT’ Angelo, coevo ai precedenti descritti, e poco distante Pizzo Chiarastella dove è stata rinvenuta ceramica preistorica associata a frammenti di selce, ceramica a vernice nera, ceramica medievale..
In epoca romana, per le mutate condizioni politiche ed economiche, vengono progressivamente abbandonati i siti arroccati e vengono preferite località pianeggianti o collinari.
Per citare solo alcuni esempi nelle immediate vicinanze di Ficuzza ,insediamenti Romani si hanno a Bifarera di sopra e a Nicolosi dove l’attuale masseria diroccata sorge su una fattoria romana e a sua volta su un precedente insediamento ellenistico.
Altro insediamento di epoca romana si ha a Bifarera di sotto presso le case Barbaccia dove si rinvengono frammenti ceramica scrivibili a tale periodo. Anche qui a ridosso della attuale Masseria è stata individuata una necropoli di un insediamento rurale , dalla quale provengono lucerne romane di III-V sec. d.C..
Presso il bivio per Ficuzza, su Cozzo Arcuri, antico crocevia dove si incontravano trazzere e sentieri per il collegamento tra i vari centri, probabilmente sorse quello più cospicuo della zona probabilmente una Massa, per la abbondanza e la qualità dei materiali che vi si rinvengono .
Poco distante, li cito per completare il quadro degli insediamenti più importanti oggi noti, evidenti segni di frequentazione Romani si hanno su Cozzo Montagnola, Quadaredda, Rossella, Mandrazze, per non parlare di Sant’ Agata uno dei più importanti centri tardo Romani scoperti e indagati della Sicilia occidentale. La zona è costituita da terreni argillosi vocati a un intenso sfruttamento cerealicolo dove domina ancora oggi incontrastata la proprietà di grandi dimensioni e il feudo.
Sul versante orientale invece , vanno ricordati in epoca tardo-antica i centri sorti su Cozzo Quattro finaite, su Cozzo SANT’Angelo ai margini dell’attuale bosco Sovarita, già frequentati in epoca precedente, il centro sorto presso i bagni di Cefala Diana del quale sopravvive ancora le tombe ipogee scavate in un banco di arenaria, l’altro centro presso Strasatto nonché presso Acqua del Pioppo, di età ellenistico-romana
Questo fenomeno della ruralizzazione di larga parte della popolazione , ha portato verosimilmente a ulteriori disboscamenti nella zona assottigliando ancor più il manto boscoso e incrementando la superficie posta a coltura
In epoca successiva tutti questi siti collinari vengono abbandonati e gli abitanti si trasferiscono i località più sicure sotto l’incombente minaccia araba. Tracce di questo processo di arroccamento si hanno sulla Montagnola di Marineo, Su Cozzo SANT’ Angelo, su Pizzo Chiarastella su Cefalà, e per stare dentro il bosco di Ficuzza, su Alpe Ramosa dove è da collocare verosimilmente Al-Hazan, la fortezza che Edrisi ricorda” come prospero paese con poderi e casali” . A Sud del Bosco, sul versante meridionale di Busambra sorgono due casali di recente indagati che testimoniano insieme allo sfruttamento delle risorse del territorio ab antiquo nelle zone impervie del Massiccio anche la duplicità di un abitato che si articolava in un casale aperto, utilizzato in periodi di tranquillità e un casale poco distante arroccato e ben difeso per i periodi più turbolenti o di guerra.
La conquista araba, dopo i primi guasti, portò alla capillare diffusione di abitati nella zona. La maggior parte delle località citate e già abitate in epoche precedenti vengono rioccupate e un periodo di relativa pace porta benessere e prosperità alle genti del luogo. Al di là dell’enfasi con la quale i viaggiatori contemporanei descrissero la Sicilia ereditata dalla conquista normanna, sicuramente gli Arabi avevano organizzato uno stato prospero anche se diviso al suo interno.
Durante il periodo Normanno infatti il territorio risulta essere abbondantemente popolato, ricco di casali, masserie e intensamente sfruttato da agricoltori allevatori.
Dalla documentazione coeva normanna, e precisamente il diploma del 1182 , sembra che l’attuale bosco di Ficuzza e quindi l’alta valle dell’Eleutero , appartenesse per buona parte alla “divisa terrarum” di Cefalà che nelle sue estreme propaggini occidentali confinava con quella di Corleone e di Jato (all’interno della diocesi di Monreale) nel punto dove transitava la via Corilionis, nei pressi delle rocche di Rao.
Parte dell’attuale complesso boschivo apparteneva a Chasu . “Il tenimentum di Chasum comprende comprende probabilmente Godrano, il territorio odierno di Mezzoiuso, la parte orientale del massiccio della Busambra col Pizzo di Casi ( sito del casale) e col monte Morabito, gli attuali ex Feudi Giardinello e Guddemi, nonchè il territorio odierno di Campofelice di Fitalia”
Il casale di Bufurera,individuato a circa 2 km a Ovest di Ficuzza, allora nella divisa di Corleone , confina con la divisa di Rahal Kateb Joseph cioè Mezzoiuso. A sua volta il monte Busambra,il Mons Zurara delle fonti coeve, è compreso tra la “Magna divisa corilionis” e il territorio di Hasu.
In un documento del 1240, “Il libellum de successione pontificum agrigenti” i territori di Cefalà e Hasum sono enumerati quali prebende della diocesi di Agrigento, cioè con diritto di esigere decime sulle risorse del territorio e quindi anche sullo sfruttamento delle risorse boschive.
Complessivamente , dunque ,in periodo normanno siamo in presenza di un territorio, ben abitato, ricco di casali e villaggi e intensamente sfruttato da agricoltori e da allevatori. Cefalà viene definito dal geografo arabo Edrisi “grazioso paese, gran distretto e gran territorio con masserie e casali”; Chasum “casale di molte seminagioni e si raccolgono varie specie di produzione e civaie”. Questa ultima notazione messa li dall’autore sicuramente riferendosi anche alle risorse che gli abitanti dei villaggi potevano trarre dal bosco.
Bifarera di Sopra, Bifarera di sotto, Casali appartenenti secondo un diploma del 1215 di Federico II alla chiesa Palermitana sono abitati da coloni verosimilmente in maggioranza Arabi; ancora dentro il bosco o nelle immediate vicinanze delle sorgenti dell’eleutero, a Nicolosi e su Alpe Ramosa è pure presente la tipologia ceramica medievale ( ceramica invetriata verde, gialla, marrone, ceramica con solcature da tornio sulla parete esterna; frammenti di tegole di un impasto particolarmente leggero…).
Sul versante meridionale di Busambra c’è Casale di sopra e Casale di sotto, già citati; a Nord, sulla Montagnola, Marineo rifiorisce, riassumendo un ruolo di cerniera tra la costa e l’entroterra palermitano ; a occidente viene occupato, ai margini del Bosco della Sovarita, Godrano; poco distante, Cozzo Sant’Angelo riprende vita. Solo per citare solo i siti più vicini alle risorse del bosco.
Notizie della situazione ambientale si traggono dallo sfoglio della documetazione edita sul territorio : presso Cefala siamo nel 1242, esisteva un “nemus Terrase ” ricordato nella descrizione del tenimento dell’ospedale di Lorenzo , in territorio di Villafrati.
L’anno successivo l’imperatore Federico II concedeva a certi palermitani di ” ligna incidere ad usum eorum apud guduranum, in plano et apud parcum veterem” e canne “pro vineis”.
Il bosco del Parco Vecchio ancora oggi esistente ma di proprietà privata costituisce l’estrema propaggine Nord del bosco di Ficuzza. Il bosco di Godrano, così viene nominata nelle fonti della cancelleria e notarili del medioevo buona parte del bosco di Ficuzza ritorna in un altro documento del 1306 quando re Federico III concede sempre ai palermitani di far legna e carbone in “nemoribus goderani, Chasace”, in boschi ” tam regi demanii quam ecclesiarum et baronum ” . Sia Godrano che Casaca fanno parte al quel tempo dei Feudi di Cefalà .
In documenti e atti stipulati nel 1320 , 1341, nel 1421, 1425 nel 1434 i boschi della zona vengono sfruttati ora per il legno per il carbone ora per la raccolta delle ghiande destinate all’allevamento dei maiali, cioè agli abitanti dei Casali situati nei pressi o dentro del bosco vengono riconosciuti diritti di pascolo o di legnatico e ghiandatico da esercitare con precise regole dettate dalla Cancelleria reale o dalla chiesa che ha la concessione feudale.
Siamo in presenza di continua richiesta da parte soprattutto dei cittadini della capitale del regno di prelievo di essenze vegetali dai boschi vicini alla città. Infatti già allora Palermo non ha più di fatto boschi da dove trarre legna da ardere, per le costruzione, per fabbricare oggetti di arredo o utensili, carbone per scaldarsi.
Bosco che non è meta di gite domenicali di spensierati vacanzieri ,bensì risorsa vitale per genti che vivono ai limiti della sopravvivenza : carbone, mortella per la concia delle pelli, funghi, erbe e frutti del sottobosco, quali asparagi, fragole, corbezzoli, azzeruoli, prunastri agli, origano menta, alloro, ghiande per gli animali; fonte di lavoro per uomini donne e bambini; caccia di cervi, cinghiali, capri selvatici., conigli, lepri, volatili, importanti integratori di proteine nella povera mensa dei contadini.
Da allora la Corona, ne fanno fede i contratti di concessioni, impone la tutela dei boschi per assicurarsi la caccia e per rifornisi di legname per le attrezzature necesarie al Regno.
La monarchia normanna aveva costituito un vasto insieme di foreste amministrate da un ” magister forestarius” o di luoghi protetti per la caccia reale quali parchi e “solatia”.
Solatium fu il bosco del Parco Vecchio a Nord del bosco di Ficuzza che Federico II, stando alla testimonianza dello storico coevo Romualdo Salernitano, fece recintare di muri in pietra per custodirvi la selvaggina e potersi dedicare alla caccia avendovi piantato diverse specie di , alberi e avendovi introdotti daini, caprioli e cinghiali .
L’istituzione, destinata a proteggere le fonti di approvigionamento per l’arsenale in legname d’opera, funziona sino al XIV secolo, dopo si sfalda con lo svanire della autorità regia. Il vicino bosco di Mezzoiuso infatti è gestito dal monastero di SANT’ Giovanni degli Eremiti il cui abate più volte concede a terzi di sfruttarne le risorse .
Nel 1331 l’abate di SAN Giovanni degli Eremiti Frate Federico ” religiosus honestus” cede il frutto delle ghiande del bosco di Misiliusufu per il prezzo di otto once e mezza oltre due porci dei migliori da dare nel bosco . Nel 1388 è nuovamente documentato il bosco di Mezzoiuso, dove i massari si recavano ” ad faciendum ivi lignum mortum…aratra et stragula” .
Sembra però che il bosco di Godrano , di Rocca Busambra e delle sue dipendenze rimanga legato in qualche modo alla chiesa di Monreale, come d’altronde la granparte del territorio che oggi possiedono Piana degli albanesi e Santa Cristina Gela. Tali enormi possedimenti veniva no gestiti direttamente dal vescovo o da appaltatori che dettavano le norme di accesso e di sfruttamento delle risorse e vigilavano sul loro rispetto. Anche la pesca negli stagni dentro il bosco, oggi non più esistenti , viene attestata da Edrisi nel XII secolo e dal Mongitore ancora nel settecento ( “il biviere di Cutrano produce in molta copia cefali, tenche e anguille”). Margi e lagune vengono ancora alla metà del secolo scorso segnalati dalla documentazione municipale
Il decadere progressivo degli abitati alla fine del duecento e la prima metà del trecento, dovuto alle guerre dei normanni contro l’elemento arabo, successivamente per la successone al regno degli svevi e le continue guerre tra aragonesi e angioini per il possesso del regno di Sicilia, le turbolenze dei Baroni siciliani, le carestie, peste ( micidiale quella del 1348 che ridusse a meno della metà la popolazione in Europa) ridisegneranno un paesaggio in cui si è sfilacciata la maglia degli insediamenti del periodo arabo-normanno per lasciare posto al feudo abitato nell’ambito di una economia agricola estensiva dominata dalla cerealicoltura e soprattutto dal pascolo. Godrano, Chasum, Marineo, Cefalà scompaiono come centri abitati.
La presenza dell’uomo nella nostra zona è limitata alle masserie nelle zone collinari. Ricordo fra tutte quelle di Scanzano ai margini del bosco della Massariotta sede di un notevole santuario di SANT’ Maria della Dayna31, e dove si svolgeva anche una fiera e la poco distante chiesetta di SAN Vito : da questi luoghi a fine cinquecento sono state trasportate le più antiche opere d’arte che si conservano a Marineo: una acquasantiera del 1300, delle statue lignee del XVI sec. , una piccola croce dipinta; la masseria del Parco Vecchio ricca e prospera , come stanno a indicare gli affreschi dell’ultimo quarto del quattrocento scoperti dentro la chiesa della masseria, dipendente dalla abbazia di SANT’ Maria di Altofonte; successivamente sorge la chiesa di SANT’ Isidoro agricola dentro il bosco del Cappelliere.
Le mandre in montagna ( testimoniata nelle zone più alte di Busambra e di fronte a Rossella) , sono funzionali unità produttive del processo di feudalizzazione del territorio. E’ importante la presenza della masseria: si insediano nelle radure disboscate e corrodono i margini del bosco palmo a palmo.
Il controllo del territorio viene garantito qua e la da castelli signorili come quello di Cefalà e successivamente di Marineo Risalaimi in questo periodo viene fortificato
Dentro i boschi sorgono a volte dei veri villaggi fatti di capanna in paglia o con alzato in pietra a secco e tetto ricoperto di frasche , i pagliai, che vengono abbandonati alla fine del ciclo produttivo: proprio dentro il bosco il toponimo Paghiarotti verosimimilmente ricorda un insediamento di tale tipo. Peraltro sempre dentro il bosco in contrada Sovarita si incontrano facilmente resti di abitazioni di tal genere .
Le terre di Bifarera, Cefalà , Marineo ad alta vocazione granaria esportano cereali verso Palermo e oltremare. I territori vengono sfruttati, per acquisto diretto, è il caso di Marineo acquistato nel 1342 da un Henrico di Pollina “cum nemoribus, viridiario, forestibus”. In altri casi vengono ingabellati da ricchi agricoltori o allevatori o mercanti soprattutto delle madonie che meno hanno risentito i guasti delle guerre e delle epidemie.
Le vicende successive del boschi appartenuti alla divisa di Cefalà e di Chasum e situati nel territorio dell’alta valle dell’Eleutero sono nebulose.
I turbinosi passaggi di proprità avvenuti nel corso del quattrocento e cinquecento non ci consentono di seguire la storia del territorio se non per sommi capi. Ricchi feudatari, abati che fanno leva su antiche concessioni avuta dai normanni, dagli svevi o dai re aragonesi , sfruttano le risorse del territorio, in proprio o ingabellandoli.
In ogni caso poco importa al prorpietario che i cicli colturali praticati nei propri territori rispondano a un criterio di razionalità. Si cercherà sempre e comunque il massimo del profitto da raggiungere nel più breve tempo. Non controlla l’uso che viene fatto della sua terra e dei suoi boschi. Diritti di pascolo, di legnatico, di seminare vengono esercitati sempre più indiscriminatamente. Dominano incontrastate le terre incolte e i pascoli.
La generale congiuntura in cui viene a trovarsi l’economia, bassi prezzi del grano e delle derrate alimentari, la distribuzione della popolazione non apporteranno grandi cambiamenti alla struttura insediativa e produttiva del territorio nel corso del XV secolo.
Ai margini occidentali, a opera degli Albanesi rinasce Mezzojuso, esempio isolato di nuova fondazione.
Nel cinquecento la situazione muta. Il prezzo del grano sale, e spinge a dissodare terre da secoli lasciati al pascolo, . Ricchi signori feudali, mercanti e borghesi si lanciano nella grandiosa impresa di trasformazione del territorio con la fondazione di nuovi aggregati urbani, previo acquisto dalla corona di “licentiae populandi”. Ai nuovi venuti vengono concesse vantaggiose condizioni di possesso della terra di agevolazioni nell’attività agricola, esenzioni fiscali, usi civici sulle terre comuni. E’ il caso di Marineo , fondato nel 1556, ai cui nuovi abitanti viene concesso tra l’altro di fari “in tutti li boschi e li feghi dello marchesato qualsivoglia sorta di ligna”.
La fame di terra dei nuovi coloni intacca ulteriormente il nostro bosco che subisce una pesante contrazione: Il bosco Sovarita nel 1607 di fatto non esiste più: su 680 ettari di superficie rivelata il bosco occupa appena mezza salma di terreno. Tra il sei e il settecento nascono nel grande Marchesato riunito dai Bologna a metà cinquecento Cefalà e Godrano ricostituendo il tessuto dei principali insediamenti che vivono ai margini del complesso boschivo.
Quale sia stato l’uso del nostro bosco durante i secoli dal Cinquecento al Settecento è facile immaginare. Per le popolazioni che vivono ai margini del bosco è risorsa vitale a cui accedere a determinate condizioni e vincoli.; per i proprietari, risorsa da sfruttare economicamente. Secondo lo storico della chiesa di Monreale Michele del Giudice che scrive alla fine del Seicento Ficuzza è un feudo nobile che appartiene all’Arcivescovo di Monreale che lo amministra direttamente consta di ” salme 160, cioè 130 lavorate e salme 40 di bosco bellissimo e giovane, atto per ingrassarvi duecento porci. Il resto paludi o margi ed incoltivabile o forte. Non ha case. E’ abbondante di acque. Si gabella per onze 300 ann. Sotto lo scoglio di Busambra vi sono le fosse, ove si raccoglie e conserva la neve, e si gabellano ogni anno, insieme con quelle di Ragalcesi per onze 900, oltre li vantaggi che qui in sicilia chiamano carnaggi, di molti carichi di neve franchi”
Busambra è concesso a Masseria per sfruttare il terreno seminativo, ma la maggior parte sono terre “vacanti.” Il Fazello ricorda che su Busambra ” sarracenorum olim erat oppidum , Calatabusammar nominatum, hodie jacens: cuius etiam nunc cernuntur vestigia” . Il Feudo Lupo ha una sola masseria di 70 salme “L’altre 200 salme cioè 120 lavorative e il resto lagune o margi incoltivabile e forte sono della Chiesa quale strasatto, con l’erba della masseria lo gabella onze 410 annuali. In questo feudo vi sono molte conserve d’acqua per bervi le bestie. Si fecero per comodità degli armenti delle cavalle regie che qui pascolavano e che poi per ordine del re Filippo II si abolirono” . Qui lo storico del Giudice non menziona boschi verosimilmente già allora molto degradato. Secondo lo stesso storico il Cappilleri era un “feudo di 285 salme in circa; lo strasatto salme 250, cioè 50 lavorative e salme 200 fanno bosco e montagna e vallate di copiose querce, che ingrassano da 600 maiali l’anno. Si gabella con l’erba della masseria onze 220 annuali. La sola masseria che contiene di gran soggezione a questo feudo è detta di SANT’Vito, per una chiesa di questo santo, ora rovinata, è di aratati 1 salme 35 circa.
Il bosco del feudo, serve ai bisogni di tutte le masserie dell’arcivescovado, per provvedersi del legname, atto agli arnesi dell’agricoltura, ed anco del legno morto per ardere, vi bisogna per valersene della licenza scritta del procuratore generale della mensa”. Anche il feudo di Buceci fa parte della mensa di Monreale e su 255 salme di terreno ben 80 sono a bosco mentre circa 70 incoltivabile e lagune o margi. Nel bosco vengono tenuti a ingrassare 400 maiali l’anno. Ancora dunque alla fine del seicento e ai primi anni del settecento ( Del giudice pubblico la sua monumentale opera nel 1702) sono documentati salme 320 di boschi pari a 731 ettari e 200 salme di forte, margi e incoltivabili verosimilmente di bosco altamente degradato pari a ettari 457 . Abbiamo quindi un totale di 1188 ettari di terreno più o meno intensamente boscato. Oggi il Bosco è limitato alla macchia del Cappelliere-Ficuzza-Godrano.

VIABILITA’
di Antonino Scarpulla

Sino a pochi decenni or sono il sistema di trasporto comunemente adottato era il cavallo o quello di andare a piedi, percorrendo a mezza costa le vallate dei corsi d’acqua grandi e piccoli. Le vallate dei fiumi sin dalla preistoria sono state naturali vie di penetrazione nel territorio, sfruttandone le caratteristiche favorevoli all’accesso .
Molte delle strade oggi percorse da rotabili statali ripercorrono gli antichi tracciati viari. Il consolidarsi di antichi percorsi in strade, dipendeva da molteplici fattori: naturali topografiche del territorio, la presenza di colline o monti da superare, presenza di valichi accessibili da una regione a una altra, l’insediamento umano. Di fatto se per la grande viabilità il fattore determinante è il corridoio naturale lungo il quale si snoda il tracciato viario, accanto ad esso si sviluppa tutta una viabilità secondaria di collegamento i centri minori e la campagna circostante .
Molti tracciati viari antichi si sono consolidati in nuove strade o sono scomparsi come tali, in base alla destinazione d’uso del territorio e la evoluzione nel tempo delle strutture insediative, per la presenza di sorgenti d’acqua o di terreni particolarmente fertili.
Nei luoghi più adatti durante il corso della storia l’uomo spesso è ritornato ad occupare siti prima abbandonati (per cause non sempre documentabili), per il fatto che i luoghi adatti a un insediamento stabile, sono relativamente pochi.
La valle dell’Eleutero ha costituito una via di penetrazione dalla costa palermitana verso l’agro corleonese-agrigentino più a Sud sin dalla preistoria. Tracce di questa frequentazione preistorica infatti provengono da vicino Monte Chiarastella (Villafrati) dove è stato rinvenuto e documentato un contesto neo-eneolitico col ritrovamento di frammenti di ossidiana . Presso le sorgenti Risalaimi e poco distante in contrada Favarotta-Don Paolo, sono segnalati frequenti rinvenimenti di utensili preistorici in selce. Più di recente durante i lavori per la realizzazione di vasche di raccolta acque nella stessa contrada altra selce lavorata è stata sporadicamente raccolta durante gli sbancamenti di terreno. Sempre a Risalaimi e nei pressi della sorgente ancora inesplorate si trovano ampie grotte che potrebbero fornire elementi più consistenti a documentare la frequentazione preistorica della vallata.
Altra selce si raccoglie nei pressi di Ficuzza in contrada Castellaccio insieme a qualche raro frammento di ossidiana sicuramente proveniente dalla costa, il cui fiorente commercio era monopolizzato dalle isole Eolie, nonché su Alpe Ramosa, ma in contesto altomedievale e medievale.
Altri frammenti di selce sono segnalati sulla Montagnola di Marineo, dove è documentata una frequentazione almeno dal VIII sec.a.C., su Cozzo SANT’ Angelo che presenta tracce di frequentazione sin dal VII-VI sec.a.C Lungo le strade, non rotabili ma semplici tracciati percorsi da cavalli, muli,o a piedi, pochi e precari ponti realizzati quasi sempre in legno, quando la via era costretta ad attraversare un fiume. Il guado facile d’estate era impossibile o estremamente pericoloso di inverno date le piene improvvise dei capricciosi e irregolari fiumi siciliani.
Sull’Eleutero dei ponti sono documentati durante il Medioevo Nei pressi di Risalaimi sino al secolo scorso esisteva un ponte “secolare” ormai distrutto, del quale si conserva solo qualche traccia dei piloni in muratura sotto la condotta EAS che porta l’acqua al potabilizzatore poco distante; poco più a valle un altro ponte, quello della fabbrica, costruito nel 1581.
Notizie sulla viabilità antica e romana si traggono sia da vari autori classici e soprattutto dal noto Itinerarium e dalla Tabula Peutingeriana scritti all’epoca dell’imperatore Caracalla, ma di cui ci rimane una redazione di metà sec III.
Importante strada di collegamento tra la costa Palermitana e quella Agrigentina fu quella che percorreva in un primo tratto la valle dell’Eleutero per poi biforcarsi nei pressi di Bolognetta: un braccio toccava Villafrati, Vicari, Lercara sino ad Agrigento, un secondo passava da Marineo, costeggiava Rocca Busambra, passava per Pizzo Nicolosi, Cozzo Zuccarrone, (Corleone), Monte Cavalli, e quindi sino ad Agrigento.
La presenza di questo secondo braccio è stato archeologicamente documentato dalla scoperta di un Miliarium in Contrada Zuccarrone, risalente al 254 a.C. . Su questa evidenza archeologica, è possibile pensare che l’ultima stazione citata dall’Itinerarium prima di Palermo, Pirama, sia collocabile a Marineo Per altri (Holm, Pais, Pace) l’Itinerarium ricalca il tracciato oggi preferito dallo scorrimento veloce PA-AG. In mancanza di altri elementi certi a sostegno di una ipotesi o dell’altra, occorre lasciare al tempo e allo scavo archeologico la soluzione .
La strada che passava da Marineo seguiva verosimilmente un tracciato non molto dissimile da quello percorso dalla attuale statale. In età classica toccava vari centri oltre la Montagnola: Cozzo Montagnola, Castellaccio, Bifarera, centri di età classica, e Pizzo Nicolosi, dove è accertata la presenza di insediamenti dal VII sec. a.C. e nei pressi sino al Medioevo .
E’ lungo questo asse viario principale che si snoda nel nostro territorio una viabilità minore, ma vitale per i collegamenti tra i vari insediamenti lungo il corso del medio e alto Eleutero.
Di notevole importanza la strada che scendendo verso contrada Favarella, a Sud-Ovest della Montagnola, toccava varie località quali Cozzo del Morto, Giarra, Cozzo Montagnola, Caldarella, Rossella, SANT’ Agata. Proprio nei pressi di Sant’Agata si innestava nel tracciato viario proveniente dal corleonese e diretta a Palermo, attraversando i territori oggi dei comuni di Piana degli Albanesi e di Altofonte. Questa strada è ricordata nei documenti medievali come “via que ducit a Corilione ad Panormum” .
Una altra importante via fu sicuramente quella che collegava la Montagnola e la vallata del fiume Parco, lungo il cui corso sono stati individuati diversi insediamenti archeologici di età classica bizantina e medievale, sicuramente collegati politicamente ed economicamente alla Montagnola e a Marineo.
Tale via peraltro oggi parzialmente ripercorsa da una strada provinciale, collegava il territorio di Marineo con quello di Piana, Jato, nonché Palermo.
La strada che da Palermo conduceva all’interno transitando per Risalaimi, proprio in quel punto, almeno sino al secolo scorso secondo la testimonianza dello storico locale Don Giuseppe Calderone , si partivano diverse strade che transitando per la terra di Marineo si dirigevano a Godrano, Cefalà-Bagni; strade che oggi sono tra l’altro migliorate e costituiscono importanti vie di collegamento tra le varie contrade.
Sopravvivenza dunque di vecchie trazzere dove transitava un commercio minuto dei prodotti della terra e della pastorizia ; attraverso le quali transitava il bestiame transumante; strade affollate da numerosi viandanti o pellegrini; dai contadini quotidianamente percorse per andare o ritornare dai campi.
Vari altri tracciati viari sono inoltre ricordati dalla documentazione di età medievale, basta uno spoglio anche sommario della documentazione d’archivio.
Tali trazzere regie, e quindi demaniali, hanno cristallizzato tramandandoli una rete di collegamenti di remota antichità e ciò è documentabile almeno dal medioevo sino ai nostri giorni. Dal testo edrisiano sembra trasparire una preminenza in età medievale del tracciato orientale della Palermo-Agrigento, strutturatosi soprattutto in età classica, Alla fine dl 1500 il notaio Baldassare Zamparrone, proveniente da un viaggio con amici dal Monastero di SANT’ Maria del Bosco, nei pressi di Bisacquino, di rientro a Palermo passa per la via sotto Rocca Busambra e quindi da Marineo sino alla capitale Con buona probabilità la strada fatta dal Notaio ripercorreva in parte la” via ducentem a Corilione in Biccarum” ricordata dal Rollo della Chiesa di Monreale del 1182 , che doveva transitare sotto Busambra visto che toccava nel suo percorso Godrano; doveva inoltre interessare e il primo tratto della ” via exercitus que est a Jato” ( ricordata pure dallo stesso documento) che transitando proprio sotto Pizzo Nicolosi, si dirigeva, attraversando la divisa di Ducki, verso Sant’Agata e da li a Palermo. Queste vie oltre a collegare i centri più importanti mettevano in collegamento anche le varie masserie e i numerosi casali sparsi per la campagna medievale.
Nel corso del XIV e XV sec spesso viene citato nella documentazione Risalaimi. La ricchezza e l’importanza della Masseria come centro economico e centro di controllo del territorio viene attestata sia dalla realizzazione ella decorazione nell’ultimo quarto del sec. XV ad opera di Tommaso de Vigilia e della sua cerchia di collaboratori, degli affreschi della cappella, che dalle numerose opere di fortificazione e difesa messe in atto dai proprietari della masseria gia nel 1493 come si evince da un atto stipulato dal notaio Domenico Di Leo (ASPA ND 1407 f.184-192, V ind) riguardante un inventario dei beni della Magione ricevuto in commenda da Alfonso Leofante, tesoriere del Regno, redatto da Antonio Lercara suo procuratore e Johannes Magdalena rappresentante il Conservatore del real patrimonio; Nel 1499 (ASPA Conservatoria del real patrimonio 84, c. 33) viene concessa la facoltà di fortificare il complesso tanto da assumere l’aspetto di fortezza, secondo quanto scrive il Fazello a metà del secolo XVI.

 

 

Pianta del comune

pianta1 Castello Beccadelli
2 Convento Francescano
3 Chiesa delle Anime Sante
4 Chiesa del Crocifisso
5 Chiesa di S. Antonino
6 Chiesa di Gesù, Maria e Giuseppe
7 Chiesa SS. Sacramento
8 Chiesa Madre
9 Chiesa di San Michele
10 Collegio di Maria
11 Municipio
12 Chiesa di S.Anna
13 Monumento ai Caduti
14 Carabinieri
15 Palestra comunale
16 Campo di calcio e calcetto

Come arrivare

map

In aereo
Dall’aeroporto di Punta Raisi “Falcone-Borsellino” seguire le indicazioni per imboccare l’autostrada PA-CT

In nave
Dal porto di Palermo seguire le indicazioni per imboccare l’autostrada PA-CT

In auto
Da Palermo: seguire le indicazioni
autostrada PA-CT.

Allo svincolo di Villabate imboccare la scorrimento veloce PA-AG. Al bivio per Bolognetta seguire la segnaletica verso Marineo
La distanza da Palermo è di circa 27 km

 

Collegio di Maria e Chiesa di S.V. Ferreri

collegioDopo qualche anno dalla fondazione della casa di accoglienza da parte di Nicolò Pilo, il Marchese Ignazio, fratello di Nicolò, dietro invito del fratello Giuseppe, parroco nella chiesa di S.Antonio Abate di Palermo e dei confrati del Miseremini, dà inizio alla costruzione dell’attuale Collegio di Maria per dare una appropriata sede alle collegine.
L’ordine delle collegine fu fondato a Sezze, città del Lazio, nel 1717 dal Cardinale Marcellino Corradini; in Sicilia è arrivato nel 1721, il primo collegio fu costruito a Palermo e fu quello dell’Olivella; il secondo fu quello di Monreale nel 1724 e il terzo fu questo di Marineo fatto costruire dal Marchese Ignazio Pilo nel 1731. Fu nello stesso anno che le cappuccine, entrarono nell’ordine delle collegine con atto notarile del 14 ottobre. La prima superiora, Suor Maria Tomasa del Collegio di Maria di Monreale, è arrivata nel 1732.
Come buona parte dei monasteri e case religiose, anche il Collegio di Maria di Marineo, ha avuto un declino dal 1860 al 1898 rischiando, nel 1871, la soppressione e quindi la definitiva chiusura. Si è salvato grazie al coraggio e alla perseveranza di una suora marinese, Suor Maria Antonia Focarino che non ha voluto lasciare le mura del collegio opponendosi alle disposizioni del nuovo regime.
Il Collegio di Maria fu costruito in una area piuttosto vasta compresa tra la Matrice e la chiesa del Crocefisso. Area che nel secolo precedente, durante l’espansione del paese, non era stata sfruttata ma aggirata perché si presentava piuttosto accidentata in quanto comprende la più piccola delle tre punte rocciose inglobata nel paese ed altri rilievi di rocce e forti dislivelli di terreno che, allora, comportavano forti disaggi per la edificazione delle abitazioni per singole famiglie. Oggi vi si trova un complesso di edifici in parte originali, in buona parte rimodernati e in parte aggiunti che formano tre ali ortogonali a forma di “F”.
L’ala di sinistra è a tre elevazioni con copertura a botte ornata da semplici decorazioni lineari. Non ha subito sostanziali modifiche e presenta ancora le caratteristiche settecentesche. Il piano terra è adibito a soggiorno, refettorio e cucina, mentre i piani superiori, a dormitorio delle suore.
Sono anche originali, nella stessa ala, le grate lobate in ferro delle finestre del prospetto prospiciente la villa e le due paraste con capitelli a volute in pietra bianca del lato prospiciente il Corso dei Mille. Questi ultimi elementi che oggi nel prospetto occupano una insolita posizione, in origine dovevano fare parte di un porticato con archi a sesto acuto di stile neogotico, come quelli del prospetto della chiesa delle Anime Sante realizzati pochi anni prima.
L’ala di fronte e quella di destra che continua (quest’ultima) con l’Oratorio del SS Sacramento, sono riservate alle scuole e sono state rimodernate agli inizi della seconda metà del novecento. Strutturalmente ed esteticamente erano simili all’ala di sinistra e come questa avevano anche finestre con grate lobate in ferro. In origine, le tre ali, racchiudevano la piazzetta dove nel 1901 fu costruito il monumento di S.Ciro e subito dopo fu sistemata l’attuale villetta dedicata al medesimo Santo. L’estremità sud dell’ala di centro, è stata l’ultima parte del collegio ad essere ristrutturata, i lavori furono eseguiti nella seconda metà del novecento. Sono state create due grandi sale adatte per conferenze e spettacoli vari.
Nell’incrocio delle due ali più lunghe, si trova la settecentesca chiesa prospiciente la piazza. Inoltre fa parte del collegio una certa estensione di terreno piuttosto accidentata adibita a giardino.
Sulla sporgenza rocciosa che si trova accanto al complesso, fu costruita, assieme al collegio, una loggetta-belvedere “la Turri di li Virgineddi” da dove si può godere il panorama di tutto il paese e dintorni.
Ci risulta che il Marchese Ignazio, nei confronti del Collegio, fu particolarmente generoso non solo per la edificazione dell’edificio, ma anche per averlo arricchito di opere d’arte, in particolare pitture su tele con soggetti sacri da collocare in chiesa, e con ritratti di prelati e personaggi della sua famiglia, da distribuire nei vari ambienti del collegio.
Purtroppo però, nel corso dei secoli e per motivi vari, la quantità di tali opere si è notevolmente ridotta. Alcune tele sono andate perdute sia perché deteriorate, sia perché disperse. A quanto pare tra le pitture su tela, si trovavano i ritratti del Marchese e quello della moglie. Oggi, di questi ritratti realizzati nel settecento, si trovano solo le copie eseguite nella prima metà del novecento. Non sappiamo perché i ritratti del Marchese e moglie, sono stati sostituiti con delle copie che, tra l’altro sono di scarso valore artistico. Sappiamo solo che il collegio e il paese, sono stati privati di due pitture del settecento e in particolare dei ritratti di due personaggi chiave della nostra storia e di quella del collegio.
Non mi è stato consentito di vedere tutte le opere che si trovano dentro le mura del collegio e quindi di poterle studiare sistematicamente come è stato fatto per tutte le opere delle altre chiese. Pertanto le notizie qui riportate, si riferiscono solo a quelle opere che tutti possiamo vedere: alla architettura esterna e alla chiesa annessa che è aperta al pubblico. Per quanto ne sappiamo, delle opere di pittura, di scultura, di argenteria ed i paramenti sacri che attualmente esistono nel collegio, alcune sono di valore artistico e diverse hanno bisogno di restauri.
Il trasferimento delle cappuccine, dalla casa di accoglienza al Collegio di Maria, avvenne nel 1731, anno in cui divennero collegine ed anno in cui fu consacrata LA CHIESA che fu dedicata a S.Vincenzo Ferreri.
Come in quella della casa di accoglienza, anche in questa chiesa si poteva e si può accedere dall’esterno. La sua posizione non è proprio felice essendo al disotto del livello stradale. A metà del novecento è stato costruito accanto alla chiesa, un alto campanile che si può vedere da quasi tutte le parti del paese. Il vecchio campanile era molto più piccolo, basso e incorporato al prospetto della chiesa come quelli di S.Antonino e S.Michele.
Il Prospetto della chiesa che si conclude a capanna, è stato ricostruito nel 1960 e sono state aperte due grandi finestre rettangolari sovrapposte una all’altra che hanno sostituito la unica e piccola finestra precedente.
A differenza della chiesa di S.Michele e della Matrice decorate, la prima, dopo due secoli e l’altra dopo tre secoli dalla loro edificazione, la chiesa del Collegio fu costruita e nello stesso secolo decorata per interessamento del Sacerdote Vincenzo Virgala.
Internamente, ha mantenuto il suo aspetto originale e non sono state apportate aggiunte o cambiamenti tali da alterarne in modo grave lo stile. Delle architetture di Marineo, questa è quella in cui, anche se in una forma piuttosto semplice, incontriamo lo stile originale meglio conservato.
L’ambiente è ad unica navata di metri 22×7 con tre campate più il presbiterio e con copertura a botte a tutto sesto con un arco trionfale che separa la navata dal presbiterio.
Le pareti laterali sono movimentate da quattro cappelle incassate con archi a pieno sesto separate da lesene ioniche. Le cappelle sono corredate da altari con mense sostenute da colonnine, posti durante i lavori di recupero del 1977 in sostituzione degli altari settecentesche in marmi policromi simile a quello centrale.
La sostituzione degli altari è stata la manomissione più grave che la chiesa ha subito da quando fu costruita, in quanto i nuovi elementi oltre ad essere di scarso valore artistico, non armonizzano con l’architettura barocca e con le decorazioni rococò dell’interno.
La loggia, ancora utilizzata, che troviamo sull’ingresso, è sostenuta da un arco a tutto sesto e si affaccia nella navata con una struttura in legno che fino a poco tempo fa racchiudeva ancora le transenne.
La grande tela ad olio della prima cappella di destra della chiesa è stata realizzata nel 1733 appositamente per il Collegio, e al collegio donata nello stesso anno dal Marchese Ignazio Pilo. La tela, firmata e datata, rappresenta S.FRANCESCO CHE RICEVE LE INDULGENZE.
Fu eseguita da “Filippo Randazzo”, uno dei maggiori artisti decoratori palermitani del settecento con Tancredi, Manno, Borremans, Vito D’Anna ecc. Il Randazzo, nato a Nicosia nel 1692, artisticamente si è formato a Roma alla scuola del Conca, formazione che ha sempre espresso in tutta la sua attività.
La tela della chiesa del Collegio fu eseguita dal pittore dopo la sua prima permanenza a Palermo avvenuta intorno al 1728, durante la quale dipinse due tele per la chiesa di S.Ippolito: il martirio di S.Ippolito e la Madonna del Rosario con S.Rosalia e Santi Domenicani.
Dai dati conosciuti risulta che il Randazzo, dopo la prima esperienza palermitana, ha dipinto nel 1734, la la tela dell’Addolorata della Matrice di Alcamo e nel 1737 ha affrescato la volta della chiesa del SS Salvatore di Corleone. Pertanto l’opera inedita e poco conosciuta della chiesa del Collegio datata 1733 rappresenta, per il momento, l’operato del Randazzo, dei sei anni che separano le opere della chiesa di S.Ippolito e di quella di Alcamo. Resta da accertare se in questo lasso di tempo la tela in questione fu l’unica eseguita dal pittore su commissione del Marchese Pilo, o se (come è probabile), per lo stesso, eseguì altre opere destinate a Marineo. L’appartenenza al Randazzo della tela del collegio, è stata scoperta dallo scrivente nel 1989, in occasione della mostra sacra effettuata a Marineo.
La tela del Collegio ha una certa importanza ai fini della conoscenza del pittore perchè l’ha realizzata nel periodo in cui si affermava sul campo della pittura.
Delle due tele della chiesa di S.Ippolito, quella della Madonna del Rosario è molto vicina a questa della chiesa del Collegio. Presentano entrambe la stessa eleganza compositiva e la stessa raffinatezza cromatica, elementi questi che distinguevano l’artista. Inoltre strettissimi vincoli formali presentano le due figure di S.Chiara del Collegio e di S.Caterina della Madonna del Rosario della chiesa di S.Ippolito.
La tela del Collegio di Maria, oltre a degli angeli e putti, presenta sei figure che insieme formano una composizione romboidale. In alto su un globo che simboleggia la terra, si trova la Madonna con a destra due teste di putti e un angelo che tiene in mano un reliquiario, mentre a sinistra si trova un secondo angelo con le mani giunte in atteggiamento di ammirazione per il Bambino sostenuto dal braccio destro della Madonna.
Il Bambino con l’indice, il medio e il pollice della mano destra, indica le tre persone della SS Trinità e con la mano sinistra porge le indulgenze a S.Francesco in ginocchio e con le braccia tese.
Nel lato opposto, sulla stessa orizzontale di S.Francesco, è S.Chiara, quasi in estasi, che tiene la mano destra sul petto e con la sinistra presenta alla Madonna due fanciulli che, secondo la tradizione, sono i figli del Marchese Ignazio Pilo. Il fanciullo in primo piano è in ginocchio con le mani giunte in atteggiamento di meraviglia per quello che vede, l’altro in secondo piano è rivolto verso lo spettatore e lo invita ad osservare la scena che gli addita con la mano sinistra. In basso al centro, si legge la dedica del Marchese e l’anno di donazione (IGNATIJ PILO MARCHIONIS MARINEJ DONUM MENSE IUNIJ ANO DNI 1733) e in basso a destra la firma dell’autore non leggibile per intero per la mancanza di colore staccato nel corso dei secoli. Solo si riesce a leggere: FIL….. RANDANZZO ING…… 1733.
I protagonisti del dipinto sono Gesù Bambino e le indulgenze, elementi esaltati non solo dalla posizione in alto e dalla luce dell’ambiente paradisiaco, ma anche dagli elementi compositivi e dagli sguardi delle figure terrene che tutti confluiscono in uno stesso punto focale.
Equilibrata si presenta la pittura sia come elemento cromatico che come elementi compositivi che ruotano attorno alla sfera disposti secondo la sagoma della croce greca.
E’ probabile che per la chiesa del collegio e per conto del Marchese Ignazio, il Randazzo abbia eseguito altre tele non arrivate fino a noi perché deteriorate nel corso degli anni. Delle tele deteriorate, due ancora si ricordano in paese, erano collocate nelle pareti laterali del presbiterio della chiesa dentro cornici sagomate ancora esistenti e che oggi racchiudono delle finestre. Le due tele raffiguranti una S.Chiara e l’altra S.Francesco con le stimmate, oltre al tema francescano, presentavano caratteri molto simili con la tela di S.Francesco del Randazzo.
Sono due delle tele del collegio che avevano resistito fino al 1977, quando furono asportate perché ritenute logorate al punto da non potere essere più recuperate per intero.
Sotto la loggia, applicata sulla parete di sinistra, si trova una scultura ad alto rilievo del tardo settecento realizzata da un ignoto autore e dedicata al sacerdote VINCENZO VIRGALA morto nel 1777.
Con questa opera le collegine hanno voluto ricordare il sacerdote che, dopo la morte del Marchese Ignazio e di Don G.Pilo, si occupò del Collegio di Maria di cui fu uno dei maggiori sostenitori e a cui lasciò tutti i suoi beni. Inoltre si ricorda il Virgala per le decorazioni a stucchi della chiesa applicati dietro suo interessamento.
La scultura rientra nell’ultima fase del barocco e presenta la figura a mezzo busto del sacerdote racchiusa in una sagoma ovale con uno sfondo chiaroscurato da linee orizzontali incise. E’ circondata da un panneggio che in parte è sostenuto da un putto alato che sta sulla destra ed in parte poggia su una base trapezoidale dove al centro, su una pergamena, si legge: “Reverendo Sacerdote beneficiale della Accademia di S.Tommaso, Dott. Vincenzo Virgala uomo di verità, revisore della S.Inquisizione, deputato del Conservatorio di Palermo. Dotò di beni questo insigne Collegio che resse. Arricchì la chiesa di ornamenti. In questo brillò tra gli altri. Morì a 84 anni il giorno 25 Luglio 1777”.
Sotto la base si trova lo stemma del Virgala: uno scudo con tre stelle e un leone incoronato su un fascio. Il tutto è sormontato da una corona.
Unica nota meno armoniosa di questa scultura è il panneggio piuttosto grossolano, pesante e scarsamente articolato. Bene si presenta invece la figura del putto con una espressione malinconica e con la torsione tipica del movimento barocco. Interessante è il sereno e realistico volto del Virgala che rivela una approfondita ricerca dei particolari anatomici che mettono in evidenza la senilità del Sacerdote.
Nella prima cappella di sinistra, al disopra dell’altare, si trova una settecentesca tela ad olio di grandi dimensioni, con la figura dell’ADDOLORATA ed alcuni putti anch’essi in atteggiamento dolente.
La Madonna è rappresentata in un ambiente di campagna, a destra nello sfondo si intravede il Golgota con tre croci, nella parte superiore del dipinto, messo in risalto da un alone luminoso, un gruppo di quattro teste di putti alati. Tutta la composizione è dominata dalla figura dell’Addolorata, che occupa la posizione centrale con gli occhi rivolti in alto, con le braccia aperte e nella mano destra, uno dei chiodi della Crocifissione. Il braccio destro è poggiato sulla struttura sagomata del sepolcro di Cristo ricoperto in parte dal panneggio bianco della Sindone. La Madonna è ricoperta da un abbondante panneggio poco armonico con forti contrasti chiaroscurali.
In basso a sinistra, seduto ai piedi della Madonna, un putto alato piangente, trattiene con la mano destra uno striscione con la scritta “I.N.R.I.”.
Non conosciamo l’autore e neanche l’anno di esecuzione, ma è probabile che l’opera sia stata commissionata dalla Congregazione di Maria SS Addolorata (detta dei Civili) subito dopo essere stata istituita dal parroco Michelangelo Camastra nel 1730 con sede in Collegio.
La maniera con cui fu realizzato il dipinto è simile a quella con cui furono realizzate altre due tele esistenti nella chiesa del Convento francescano: la Crocifissione e la tela raffigurante S.Anna, la Madonna Bambina e Geoacchino. Le tre tele presentano la medesima articolazione di panneggi con uguale impostazione chiaroscurale.
Ci troviamo di fronte allo stesso autore che è da ricercare in tutta una schiera di modesti pittori religiosi che in buona parte rimasero sconosciuti in quanto non si preoccuparono di firmare i loro dipinti, ma, rifacendosi alle opere dei maggiori esponenti del tempo, si preoccuparono soprattutto di arricchire le chiese di opere sacre.
Dello stesso periodo del dipinto della Addolorata, ma non dello stesso autore, è la terza tela ad olio di grandi dimensioni che si trova nella seconda cappella di sinistra della chiesa. Rappresenta la TRINITA’.
Nella parte alta del dipinto troviamo, al centro, la colomba dello Spirito Santo, sulla sinistra, Cristo con in mano la croce simbolo della passione e sulla destra il Padre Eterno con le braccia aperte. In basso, tra queste due ultime figure, un putto capovolto tiene una enorme ostia con la scritta “IHS” (Gesù Salvatore degli uomini).
La Trinità è presente non solo con le figure di Cristo, del Padre Eterno e della Colomba dello Spirito Santo, ma anche con la composizione triangolare formata da tutto l’insieme dei personaggi soprannaturali, essendo il triangolo equilatero simbolo della trinità.
In basso, predisposti a semicerchio, in quattro punti equidistanti da quello centrale dell’ostia si trovano, a destra, la figura di S.Rosalia, al centro, quelle di S.Francesco e di S.Pietro e sulla sinistra, la figura di S.Vincenzo Ferreri che addita l’ostia.
L’insieme di tutte le figure forma una composizione circolare che ruota attorno al punto centrale dell’ostia dove confluiscono tutti i raggi direzionali esaltando l’Eucaristia.
Le figure sono illuminate da due sorgenti di luce ben distinte che mettono in evidenza forti contrasti chiaroscurali: la luce irradiata dalla colomba investe le figure divine, la luce irradiata dall’ostia investe le figure terrene. L’elemento luce, e la composizione triangolare delle figure soprannaturale, hanno significati simbolici.
Della tela non si conosce l’autore, ma sembra chiaro che sia stata realizzata da un artista religioso buon conoscitore di concetti teologici e buon conoscitore della tecnica pittorica, capace di realizzare dipinti di buona fattura come la tela in questione piena di contenuti religiosi, simbolici, estetici, pittorici e formali anche se, per questi ultimi, le fonti di ispirazione sono sempre le pitture dei maggiori esponenti del momento.
La tela oggi si trova in pessime condizioni, buona parte di colore non si nota più per la troppa ossidazione e delle figure della parte inferiore, si riesce a distinguere solo alcuni particolari. Necessita di restauro.
Tra le cappelle e il presbiterio, nelle due parti laterali della chiesa, troviamo due matronei di piccoli dimensioni con ringhiera lobata in ferro battuto. La loro funzione è semplicemente decorativa. I matronei, usati soprattutto dalle donne, erano funzionanti solo in alcune chiese paleocristiane mentre in quelle costruite successivamente continuarono a sussistere sempre più raramente e solo per fini estetici o per movimentare una parte di parete come nel nostro caso. Infatti i matronei della chiesa del collegio, sono molto piccoli e non hanno ingressi.
Al di sopra delle cappelle la chiesa è coronata da un semplice cornicione su cui si innalza la volta a botte che è forata alle basi da quattro finestre (due per lato) sormontate da lunette e da pennacchi.
La volta, ornata con stucchi di stile rococò, è suddivisa in due parti che racchiudono le quattro vele sulle lunette delle finestre e, al centro di ogni parte, a rilievo, due tondi dipinti raffiguranti uno il sacrificio dell’Agnello e l’altro un tavolo con dei pani simboli dell’Eucaristia (l’offerta di Melchisedech).
Soprattutto il presbiterio della chiesa, è stato oggetto dei rimaneggiamenti del 1977. Sono stati rimossi la balaustra in marmo che divideva la navata dal presbiterio; la grata in ferro (che stava in basso sulla parete di sinistra dove attualmente si trova una porta), attraverso la quale le suore ricevevano la Comunione; le due grandi tele del Settecento, sopra citate, (S.Francesco con le stimmate e S.Chiara) e due pannelli in marmo sulla mensa dell’altare maggiore.
Il settecentesco altare maggiore prima del 1977, oltre agli attuali due pannelli verticali sulla mensa, ne aveva altri due che prolungavano l’estremità laterali. L’altare si presentava più lungo, più aperto e più proporzionato. Nonostante la menomazione, è ancora armonioso nei colori dei marmi, elegante nella linea settecentesca, grazioso e ben definito nella forma. E’ uno degli altari più preziosi e più belli, assieme a quello della chiesa di S.Michele, che abbiamo a Marineo. I pannelli verticali sulla mensa sono arricchiti da intagli in legno dorato che rappresentano il sacrificio di Abramo a sinistra e quello di Noè a destra. Sconosciamo l’autore. Simili erano anche i pannelli mancanti di cui non si conosce la fine e che erano anch’essi decorati con intagli in legno dorato.
In basso, sulla parete di sinistra, si può vedere una lapide in marmo con al centro lo stemma di Marineo formato da quello dei Beccadelli (le tre ali con zampe di aquila) e da quello dei Pilo (la quercia con due leoni rampanti). Lo stemma non ha niente a che fare con la lapide in quanto dietro a questa, si trovano le ossa di don Giuseppe Pilo morto nel 1763, parroco della chiesa di S.Antonio Abate di Palermo e fratello del Marchese Ignazio. Il sacerdote veniva spesso a Marineo a passare le vacanze. Alla morte, per sua volontà, fu sepolto sotto la grata del presbiterio da dove le suore ricevevano la comunione. Nel 1977 le ossa furono esumate e sistemate nella parete dietro la lapide e su questa applicato lo stemma che è un rilievo preesistente del settecento fatto realizzare probabilmente dal Marchese Ignazio.
Sull’altare, nella parete di fondo dentro la nicchia si trova una STATUA LIGNEA DELL’ADDOLORATA.
L’opera è della fine del settecento inizi ottocento ed è di autore ignoto. E’ una delle sculture che rientra nella serie delle opere didascaliche di questo periodo. Bene si presenta per tale fine proprio perché la statua mette in evidenza il tema trattato rivelando l’atteggiamento e lo stato d’animo della Madonna in un momento particolare della sua vita.
L’autore ha fatto del suo meglio per inserire nella composizione quegli elementi che corrispondono a particolari significati, come il fazzoletto bianco tra le mani (con le dita intrecciate) della Madonna per detergersi le lacrime, il volto malinconico con le labbra nella posizione tipica per esprimere sofferenza e il panneggio realizzato con una certa rigidità lineare. Tutti questi elementi partecipano ad arricchire di pathos l’immagine della Madonna.
Mentre l’autore è riuscito ad esaltare nella scultura i detti elementi simbolici, non è stato altrettanto felice per quanto riguarda la parte estetica. Infatti la statua non è una delle più belle sculture del paese. I panneggi, come detto prima, sono duri, rigidi e mancano di raffinatezza, di eleganza e di morbidezza; elementi che contribuiscono ad evidenziare l’armonia e la bellezza estetica di una opera d’arte.
Anche se nella scultura si evidenzia un certo movimento barocco, si delineano già, attraverso i panneggi, lineamenti neoclassici che meglio verranno sviluppati successivamente.
Nella lunetta al di sopra del cornicione si trova una finestra circolare aperta nel 1977. Al suo posto si trovava un tondo che racchiudeva una pittura su tela con l’immagine di S.Vincenzo Ferreri.
La moderata decorazione a stucchi a motivi floreali di stile rococò presenti in tutta la chiesa ed i putti che si trovano ai lati delle cappelle e sulla parete di fondo, furono applicati dietro interessamento del Sac. Vincenzo Virgala attorno al 1770. Per il momento non abbiamo altre indicazioni sulla storia degli stucchi come non abbiamo la certezza dell’autore o degli autori. Probabilmente si tratta dei componenti della famiglia Firriolo con Gaspare, Giuseppe, Giovanni e Tommaso (stuccatori che operarono nella seconda metà del XVIII secolo e che fecero parte della scuola di Procopio Serpotta), impegnati, nello stesso periodo, a decorare la Matrice di Misilmeri. Evidente è, nel carattere plastico, la analogia fra gli stucchi delle due chiese.

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ARCHIVIO

CAMBIO DI RESIDENZA IN TEMPO REALE (D.L. 5/2012 – L. 35/2012)

Il 9 maggio 2012 è entrata in vigore la nuova disciplina riguardante i cambi di residenza.

Da tale data le dichiarazioni anagrafiche dovranno essere presentate per mezzo i modelli ministeriali di seguito allegati.

Modulo richiesta residenza

Dichiarazione di trasferimento residenza all’estero

Le suddette dichiarazioni dovranno essere sottoscritte da tutti i componenti maggiorenni interessati al cambio della residenza, corredate dalla copia di un documento di identità in corso di validità, riguardante gli stessi componenti maggiorenni firmatari dell’istanza.

I cittadini potranno presentare dette dichiarazioni anagrafiche non solo attraverso l’apposito sportello comunale, ma altresì per raccomandata, per fax e per via telematica. Quest’ultima possibilità è consentita ad una delle seguenti condizioni:
1. che la dichiarazione sia sottoscritta con firma digitale;
2. che l’autore sia identificato dal sistema informatico con l’uso della carta d’identità elettronica, della carta nazionale dei servizi o comunque con strumenti che consentano l’individuazione del soggetto che effettua la dichiarazione;
3. che la dichiarazione sia trasmessa attraverso la casella di posta elettronica certificata del dichiarante;
4. che la copia della dichiarazione recante la firma autografa e la copia del documento d’identità del dichiarante siano acquisite mediante scanner e trasmesse tramite posta elettronica semplice.

Si ricordano gli indirizzi istituzionali ai quali inoltrare le dichiarazioni:

Indirizzo Postale: Comune di Marineo, Corso dei Mille, 127 – 90035 Marineo – PA

Posta elettronica certificata: comune@pec.comune.marineo.pa.it

Posta elettronica : ufficidemografici@comune.marineo.pa.it

Fax: 0918725274 –

Consiglio Comunale

D’Amato Giuseppe Presidente
curriculum
Costa Angela Vice Presidente
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Salerno Francesca
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Barcia Sandra
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Pulizzotto Francesca
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Mancino Ciro (Fabrizio)
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Perrone Peppe
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Basilico Federica
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Cutrona Pietro
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Li Castri Francesco
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Cangialosi Alberto
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Ribaudo Salvatore
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D’Amato Salvatore
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Cangialosi Ciro Fabio
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Gippetto Rosalba
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verbale proclamazione amm. 2013

 Esame delle condizioni degli eletti. Convalida (ineleggibilità) del cc 34.13

Esame ipotesi di incompabilità del cc 35.13

indennità presidente del consiglio comunale. e gettoni di presenza dei consiglieri del cc 52.13

Tabella indennità